Francesca Mazzanti e Maria Luisa Tanganelli

Vincenzio Capponi e la sua biblioteca

Su Vincenzio Capponi molto è stato scritto: fiorentino per natali (nacque nel capoluogo toscano il 18 ottobre 1605), nobile di famiglia, sia per parte di padre (il marchese Bernardino) che di madre (Lisabetta Salviati, appartenente ad uno dei più ricchi e influenti casati di Firenze, sorella di Filippo, scienziato e amico di Galileo Galilei), Vincenzio fu, sin da subito, personaggio di spicco nella vita intellettuale del suo tempo. Viaggiò molto per l’Europa, unendo agli interessi letterari quelli scientifici (il suo nome ricorre più volte nel carteggio galileiano). A Roma frequentò l’Accademia dei Lincei e nel 1623 fu nominato da papa Urbano VIII cameriere d'onore. A Firenze fece parte dell’Accademia Fiorentina, ricoprendovi la carica di console nel 1638, e fu membro, con il nome di “Sollecito”, dell’Accademia della Crusca, divenendone arciconsolo nel 1662, e collaborando, fra l’altro, alla terza edizione del Vocabolario (1691); della sua attività di accademico restano inoltre i discorsi di argomento religioso da lui tenuti alla Crusca, raccolti e stampati nel 1684 insieme alle parafrasi poetiche dei Cantici [1]. Nel 1670 il granduca Cosimo III lo nominò senatore e luogotenente dell'Accademia del Disegno [2].

Non stupisce, pertanto, apprendere che il Capponi possedesse una grande biblioteca, collocata in due stanze contigue, nel suo palazzo affacciato sull’Arno, accanto al Ponte di Santa Trinita. Antonio Magliabechi, suo contemporaneo e bibliotecario della famiglia Medici, con la consueta lingua affilata che lo contraddistingue, la dice ricca di libri «per lo più buoni», «legati bene e puliti» così da offrire «bellissima vista» agli occhi di ospiti e visitatori, ma collezionati «più per pompa, che per poter studiare», giacché quelli troppo costosi o che presentavano qualche difetto, fosse solo «una menoma macchia in qualche pagina o la margine troppo tagliata», venivano esclusi, così che «in tutte le materie gliene mancano moltissimi e de' più necessari» [3]. In realtà Vincenzio, seppur molto avveduto, si adoperava in ogni modo per accrescere la sua collezione libraria (con un particolare interesse per le opere storiche e i testi di lingua trecenteschi), tramite le sue amicizie a Firenze e in altre città, le vendite di biblioteche, i librai (fiorentini, e non solo), perfino lo stesso Magliabechi, come testimonia la sua corrispondenza con lui e con gli stampatori veneziani Combi-La Noù [4].

Al momento della sua morte, nel 1688, la biblioteca contava più di 5000 rare edizioni a stampa, molte delle quali in più volumi, e ben 249 manoscritti, di cui rimase unica erede la figlia Cassandra (la figlia maggiore, Lisabetta, sposata ad Orazio Capponi, era morta nel 1671), che li fece trasportare nel palazzo di via Larga dove ormai risiedeva dal 1669, anno delle sue nozze con il marchese Francesco Riccardi [5]. Grazie alla nobile dama, che avrebbe sempre guardato con una punta di snobistico disprezzo i suoi parenti acquistati, incapaci di vantare un casato illustre e antico come il suo, la raccolta libraria di casa Riccardi registrò un importante incremento, qualitativo e quantitativo [6], sia per i libri a stampa (ancora nel 1632 le edizioni in possesso dei Riccardi erano poco più di 500) [7] che per i manoscritti: la biblioteca Capponi confluì infatti nella Libreria di famiglia, considerata parte integrante del patrimonio e, come tale, da sempre gestita dal primogenito Riccardi, andando ad aggiungersi ai libri che Francesco aveva acquistato nella sua lunga attività di collezionista e a quelli ricevuti in eredità dal prozio Riccardo Romolo, fratello del nonno suo omonimo.

Per accoglierli degnamente, Francesco fece costruire una sala apposita (l’attuale sala di lettura della Biblioteca Riccardiana), che fu inaugurata con solennità nel 1689 in occasione della nozze di Ferdinando de’ Medici con Violante Beatrice di Baviera: il marchese Riccardi ne curò personalmente arredamento e decorazione, affidando il progetto a Giovan Battista Foggini, l’affresco del soffitto a Luca Giordano (Luca “Fapresto”, com’era soprannominato dai contemporanei per la sua rapidità nel dipingere), l’ideazione dei motivi allegorici ad Alessandro Segni, suo precettore e compagno di viaggi, ed infine la realizzazione delle splendide scaffalature in legno di noce con intagli dorati agli artigiani fiorentini Tommaso e Giuseppe Stecchi [8]. Per rendere onore all’importante lascito, Francesco fece inoltre scolpire dal Foggini un busto marmoreo del suocero Vincenzio, che fu collocato sopra la prima delle due finestre della sala; sulla parete opposta, sopra l’altra finestra, esattamente di fronte, fu posto lo stemma Riccardi-Capponi a perenne ricordo dell’unione delle due famiglie.

Ottenuta nel 1687 dal granduca Cosimo III l’autorizzazione a trasferire nel palazzo di via Larga tutte le opere d’arte (compresi i libri) che si trovavano nel Casino di Valfonda, prima dimora della famiglia Riccardi, a cui erano vincolate per testamento da Riccardo Romolo Riccardi, Francesco poté finalmente far sistemare tutti i volumi sugli appositi scaffali con i balaustrini, chiusi «con sportelli, reti di maglia semplice di filo di Bologna scorniciati e profilati d’oro con toppe e chiavi» [9], avvalendosi dell’aiuto di Filippo Modesto Landi [10], primo bibliotecario della Libreria. Per organizzarla al meglio, il marchese Riccardi si era rivolto insistentemente ad un esperto, Antonio Magliabechi, così da mettere in pratica le buone regole per costruire una biblioteca (luminosità, temperatura, ruolo e stipendio del bibliotecario) che fosse anche aperta al pubblico, per quanto selezionato, ammesso al prestito.

La raccolta libraria trovò dunque una sistemazione lussuosa e spettacolare, tale da soddisfare anche fini di esibizione, in una splendida sala appositamente costruita, attigua alla “Galleria degli specchi”, il salone delle feste parimenti affrescato da Luca Giordano, dove si tenevano banchetti, balli e cerimonie di rappresentanza: in tali occasioni venivano aperti, con sapiente regia, gli sportelli degli armadi a muro e degli stipi che rivelavano le meraviglie della straordinaria collezione dei Riccardi in essi custodita. Dal salone si accedeva direttamente alla biblioteca, anch’essa luogo da esibire e mostrare agli ospiti, con cui la galleria era deliberatamente comunicante così da consentire agli invitati di ammirare insieme libri e oggetti preziosi, considerati sullo stesso piano, uguali nel pregio e ugualmente degni di essere apprezzati [11].

Difficile ricostruire l’identità della biblioteca di Vincenzio Capponi, assorbita nella collezione libraria dei Riccardi senza che si tenesse traccia o memoria della sua provenienza. I libri, a stampa o manoscritti, non conservano purtroppo alcuna nota di possesso, nessun appunto che soccorra in tal senso. L’unico inventario esistente della libreria Capponi sono le «Stime de’ Libri della Libreria dell'Ill.mo Sig.revMarc.se Vincenzio Capponi», conservato presso l'Archivio di Stato di Firenze (ASFi), in una delle filze riccardiane (cfr. ASFi, Mannelli Galilei Riccardi, 346, n. 22) [12]: come si evince chiaramente dal titolo riportato a inchiostro sul piatto anteriore della legatura, fu redatto per stabilire il valore commerciale dei libri ereditati da Cassandra dopo la morte del padre (valutati 7000 scudi) e concluso il 31 ottobre 1689, come attesta la data apposta in calce all’ultima carta. Su due colonne, una minuta mano corsiva ha elencato tutti i libri di Vincenzio: per primi quelli a stampa, numericamente preponderanti (oltre 5000, come già detto), cui fa seguito la «Stima de’ libri manuscritti», disposti in ordine quantitativo decrescente, dapprima quelli cartacei (pp. 145-150), poi i «libri in cartapecora» (p. 151), quindi i «libri di musica stampati» (pp. 152-153) e per ultimi i «libri di musica manus scritti» (p. 153). Da riscontri effettuati da Maria Prunai tali volumi, con partitura, sarebbero quelli che costituiscono il piccolo fondo musicale della Biblioteca Riccardiana [13]. Purtroppo tutti i libri sono elencati in modo molto sommario, per lo più soltanto con il titolo, per cui risulta piuttosto difficile procedere alla loro identificazione con i volumi presenti attualmente presso la Biblioteca Riccardiana [14].

Fra i testi a stampa figurano nell’elenco alcuni magnifici esemplari di atlanti (Ortelio, Georg Braun, l’Arcano del mare di Robert Dudley in tre volumi); in generale, almeno per quelli identificati, si tratta sempre di «esemplari di gran pregio privi di imperfezioni e con splendide rilegature» [15]. A stampa o manoscritti, i testi elencati sono di vario argomento: classici, letterari, filosofici, storici, geografici, scientifici. Fra questi ultimi figurano anche diversi scritti galileiani, alcuni dei quali citati da Antonio Favaro nella sua edizione nazionale delle opere galileiane come contenenti le lezioni più corrette: nella prima metà dell’Ottocento essi furono tuttavia trasferiti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze per completarne il consistente fondo Galileiano lì depositato [16].

[1] Trattati accademici del Sollecito 1684; cfr. anche Caroti 1993
[2] Capucci 1976, pp. 99-100.
[3] Neri 1883, pp. 533-534; Minicucci 1978, p. 12 nota 12.
[4] Mirto 2016, pp. 155-156
[5] Su Francesco Riccardi, cfr. Minicucci 1985 e Mirto 2016.
[6] Lazzi 2018, p. 13.
[7] Prunai 1987, p. 208.
[8] Bartoletti 2017, p. 20.
[9] Lazzi 2018, p. 13.
[10] Su Filippo Modesto Landi, cfr. Minicucci 1985, pp. 30-37.
[11] Lazzi 2018, pp. 12-13.
[12] Per la prima volta segnalato da Maria Jole Minicucci: cfr. I Riccardi a Firenze, p. 21 nota 12.
[13] I Riccardi a Firenze e in villa 1983, pp. 176-178.
[14] Ivi, pp. 177-178 con proposte di identificazione di codici riccardiani.
[15] Ivi, p. 177.
[16] Ivi, p. 178.